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IL PAPA LATINOAMERICANO E IL CONTINENTE-NONNA

 

Conferenza presso la Facoltà di Teologia della Università “Vytautas Magnus” di Kaunas tenuta da Giovanna Chirri alla vigilia dell’arrivo di Papa Francesco in Lituania, il 22 settembre 2018.

Appena è stato eletto papa Bergoglio ho condiviso il parere di autorevoli commentatori secondo cui un papa latinoamericano non avrebbe avuto alcuna sudditanza ma uno sguardo più libero di noi europei nei confronti degli Stati Uniti, giacché non era debitore della propria liberazione e ricostruzione postbellica al grande paese americano. (1) Ho impiegato poche settimane a capire che il papa latinoamericano avrebbe avuto uno sguardo più libero, e quindi molto più concreto e significativo anche nei confronti dell’Europa, pur essendo di origini europee, per la precisione italiane. L’ho capito durante il primo viaggio del pontificato, l’8 luglio 2013 a Lampedusa, davanti alla Porta d’Europa issata dai lampedusani in memoria dei migranti morti in mare.

Ho pensato che anche per i Baltici e la Lituania il rapporto con l’Europa del papa latinoamericano fosse un argomento di interesse, l’ho pensato la scorsa primavera quando ho proposto il tema a questa prestigiosa università, ricevendo riscontro positivo. L’ho ripensato nel cominciare a stendere il testo in luglio,  pochi giorni dopo il vertice Nato a Helsinki, in cui il presidente Trump ha voluto essere protagonista e direttore dei giochi, e nel pieno della ennesima crisi migratoria che ha visto il mio Paese, l’Italia, calpestare la propria tradizione di accoglienza e solidarietà, mentre l’Europa era in mano alle paure  e i suoi leader annaspavano senza trovare un guizzo di progettualità. Che ti è successo Italia? – Che ti è successo Europa? Mi sono chiesta quando in agosto il mio governo ha chiuso i porti italiani a navi italiane cariche di profughi sottratti alla morte in mare. E sono risuonate in me molte delle  domande che papa Francesco ha posto ricevendo dai leader europei il premio Carlo Magno, nel  maggio del 2016.  

Questa conferenza ricostruisce lo sguardo sull’Europa di papa Francesco attraverso suoi viaggi, sue parole, suoi gesti.  Dopo l’analisi di alcuni viaggi e discorsi di papa Bergoglio, metterò in luce qualche  implicazione problematica e alcune sfide. Alla fine di questo percorso scopriremo forse che il titolo completo di questo nostro incontro avrebbe dovuto essere “Il papa latinoamericano e il continente-nonna. E’  ancora possibile una fraternità europea?”.

Una corona di fiori nella ‘Porta d’Europa’. Il primo viaggio in assoluto del pontificato è stato a Lampedusa, un’isoletta italiana, a sud della Sicilia, arsa dal sole e paradiso dei turisti prima di diventare approdo dei disperati del mare, in fuga dalle guerre e dalle miserie soprattutto africane, ma non solo. Papa Francesco ha celebrato nel porto, su un altare fatto dei legni dei barconi naufragati sulla costa, e prima, sul molo Favarolo,  ha incontrato alcune decine di giovani scampati ai naufragi, erano tutti scuri di pelle, tutti molto giovani. E prima ancora, compiendo un giro in barca lungo la costa, il pontefice ha deposto una corona di fiori a ricordo di tutte le persone morte  mentre cercavano un futuro e una vita migliore.  Pochi  mesi dopo la sua visita a Lampedusa inoltre, il papa ha nominato cardinale don Franco, l’arcivescovo di Agrigento impegnato nel sostegno ai migranti di Lampedusa. E da subito dopo la visita del papa, l sindaco dell’isola,  la signora Giusi Nicolini, ha ricevuto inviti presso le sedi istituzionali europee per raccontare i bisogni, le sfide, i successi, dell’accoglienza ai migranti scampati alla morte in mare.

Questo primo viaggio è stato disvelante per la comprensione di tutto il pontificato, che ancora oggi si snoda nel solco di Lampedusa. Allora i migranti in Italia e in Europa erano una questione per volontari e specialisti, ma Bergoglio l’ha messa al centro – non al centro mediatico al centro fisico e di carne – dando una scossa alla Chiesa e alla società. Con lui il tema ha assunto dimensione europea e la ‘porta d’Europa’ eretta dai lampedusani davanti al mare che restituisce cadaveri è stata legittimata come confine europeo aperto. Ha messo i poveri al centro, giacché i migranti sono i più poveri dei poveri. Anche per la Chiesa italiana cominciare da Lampedusa aveva una forza rivoluzionaria, era un cambio radicale di prospettiva e di priorità.  Stando sul molo in mezzo ai tanti ragazzi migranti che dopo poco avrebbero stretto la mano a papa Francesco, ho sentito a pelle quello che oggi, dopo cinque anni, formulo razionalmente: questo papa è amato anche da tanti non credenti perché nella società che insegue benessere, fitness, ricchezza e felicità, mette il discrimine tra umano-disumano nella capacità di ‘piangere-con’, di condividere il dolore dell’altro. NOTA;2

Albania, un paese europeo, musulmano e tollerante. Poco più di un anno dopo, il 21 settembre 2014, il papa vola in Albania. Sull’aereo che lo riporta da Tirana a Roma, spiega a un giornalista: l’Albania “è un Paese musulmano nella maggioranza ma non è un Paese musulmano. E’ un Paese europeo. Per me questa è stata una sorpresa. L’Albania è un Paese europeo, proprio per la cultura – la cultura di convivenza, anche per la cultura storica che ha avuto”.

Bergoglio lungo il viale centrale di Tirana ha appena visto i ritratti dei chierici martirizzati durante il regime comunista, in un Paese al quale è stato imposto l’ateismo di Stato, come è accaduto ai paesi del blocco sovietico, come i baltici ben sanno. E rivolto ai giornalisti ricorda:

“…il livello di crudeltà è stato terribile. Quando ho visto queste fotografie, ma non solo i cattolici, anche ortodossi, anche gli islamici, … e quando ho pensato alle parole loro rivolte ‘Ma, tu non devi credere in Dio’ – ‘Io ci credo!’ – bum, e lo facevano fuori. Per questo dico che anche tutte e tre le componenti religiose hanno dato testimonianza di Dio e adesso danno testimonianza della fratellanza”.

Ascoltiamo ancora le parole del papa:  “l’albanese; è fratello. Ha la capacità della fratellanza: è più che tollerante. E questo si vede nel convivere, nel collaborare tra gli islamici, gli ortodossi e i cattolici. E collaborano, ma come fratelli, no? E poi, un’altra cosa che mi ha colpito, dall’inizio, è la giovinezza del Paese: m’hanno detto che è il Paese più giovane d’Europa, quando io ho fatto questo commento. Ma l’Albania ha, si vede proprio, uno sviluppo superiore nella cultura e anche nella governance, grazie a questa fratellanza”.  Papa Bergoglio andando in Albania ha scelto un Paese della periferia, e  che non appartiene all’Unione Europea, e a quelli che prendono in considerazione solo l’Europa “dei potenti”, spiega:  “è un messaggio, questo mio viaggio, è un segnale: è un segnale che io voglio dare”.

Già a Lampedusa e a Tirana quindi sono presenti tutti i temi della geopolitica di papa Francesco: aprire le porte, non cedere alla paura, guardare il mondo dalle periferie, rilanciare l’accoglienza, vivere la fraternità per una nuova politica e una governance migliore. L’importanze delle periferie il pontefice l’aveva spiegata nella intervista a Civiltà cattolica e altre riviste dei gesuiti dell’autunno del 2013, mentre i il tema della fraternità, entrato quasi di soppiatto con il viaggio a Tirana, si svilupperà in chiave europea con intuizioni importanti, oggi un po’ più chiare di allora, ma comunque ancora in fieri.

Dalla periferia al centro.

Poche settimane dopo aver visitato l’Albania, Jorge Mario Bergoglio è a Strasburgo, per un viaggio interamente dedicato alle istituzioni europee, tanto da lasciare un po’ male i cattolici francesi che avrebbero desiderato almeno qualche appuntamento più ecclesiale e più ‘francese’. Accoglie l’invito a intervenire sia davanti al Parlamento europeo che davanti al il Consiglio d’Europa. Il Parlamento europeo è il centro legislativo dell’Unione europea, il Consiglio d’Europa è una associazione internazionale indipendente dalla Ue, composta da altri paesi rispetto all’Unione.

A Strasburgo, dove è tangibile che l’Europa sia più grande della Ue, il papa giunge a fine 2014, dopo che tra il 23 febbraio e il 19 marzo c’era stata l’annessione della Crimea da parte della Russia. Cioè 100 anni dopo la prima guerra mondiale, in Europa c’è una guerra in atto. I due Paesi in conflitto, Russia e Ucraina, non fanno parte della Ue, aderiscono però al Consiglio d’Europa. (Una lettura integrale dei due discorsi – non possibile qui – resta molto utile per la comprensione del nostro tema, e va sempre consigliata. )

Nel discorso al Parlamento della UE c’è la domanda su come trovare  un cammino per il futuro di una comunità che è estremamente complessa a causa delle lingue e delle culture differenti, e alle prese con la questione economica e la crisi finanziaria; un incitamento a ritrovare il senso della visione comune, del progetto europeo, a superare una unione fondata solo sulla concorrenza degli interessi nazionali. Il punto di partenza  è la constatazione di un mondo interconnesso e globale, sempre meno eurocentrico, e di una Europa invecchiata  e ‘compr..?’ Bergoglio afferma di voler dare un messaggio di incoraggiamento” e lo fa a partire dai padri fondatori e dalla parola chiave, “dignità”, frutto di un lungo cammino, e riconoscendo l’impegno ammirevole della Ue per la dignità. Ma, si chiede il pontefice, è possibile dignità senza libertà? senza che la legge sia più forte del potere? se ci sono discriminati? se si è senza cibo o senza lavoro?. Il papa denuncia un fraintendimento circa i diritti umani, che diventano, osserva,  “individuali, son tentato di dire individualistici”, e denuncia la concezione di una persona staccata da ogni contesto sociale e antropologico, una monade tra monadi. La dignità trascendente dell’uomo, spiega,  è la bussola, l’uomo è essere relazionale, la solitudine è propria di chi è privo di legami, ed è acuita dalla crisi economica, sicché il Continente dà una impressione generale di stanchezza e invecchiamento. Il papa usa la metafora della Europa Nonna. “Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, – afferma il pontefice – è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni”. Missione dei parlamentari europei, ricorda,  è prendersi cura della fragilità dei popoli e delle persone.

Se è in gioco la affermazione della centralità della persona umana, osserva papa Bergoglio, il cristianesimo non è un residuo del passato, ma ha ancora un contributo da dare. Il cristianesimo, afferma davanti al Parlamento della Ue il leader di un miliardo di cattolici nel mondo, non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni della Ue, bensì un arricchimento. Citando il Platone e l’Aristotele affrescati da Raffaello nella Scuola di Atene delle Stanze vaticane,  – Platone con il dito  verso il cielo e Aristotele con la mano verso terra, simbolo l’uno dell’attenzione alla trascendenza e il secondo alle cose concrete  – papa Bergoglio riflette sulla architettura propria della costruzione europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, auspicando che “prevalga l’aiuto vicendevole e si possa camminare animati da reciproca fiducia”.  Sollecita non solo a riconoscere la centralità della persona umana, ma anche a favorirne le doti, indicando tra i campi di intervento, la questione dei migranti, la difesa dell’ambiente, la ricerca e lo sviluppo. Mantenere viva la sfida della democrazia, dice, è una sfida di questo momento storico, evitando che la forza politica espressiva dei popoli sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che e indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario, al servizio di imperi sconosciuti.

Quanta attualità questo appello formulato dal papa nel 2014 assume ancora nel travagliato 2018 europeo.

La parte finale del discorso alla Ue merita di essere letta per intero: “Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!”.

Nell’incontro con il Consiglio d’Europa papa Francesco ricorda che dieci anni dopo la fondazione di questa organizzazione, l’Europa si trovò impigliata nella cortina di ferro, “una ferita che la attraversava dai Baltici al Golfo di Trieste”. Le guerre nascono per voler possedere spazi, cristallizzano i processi generali, mentre la pace si ha soltanto iniziando processi e portandoli avanti, alla pace, – ricorda Bergoglio con le parole di Paolo VI – occorre un continuo cammino di umanizzazione. Quando dolore e quanti morti ancora oggi in questo continente che anela alla pace eppure ricade facilmente nelle tentazioni di un tempo; è perciò importante, afferma il pontefice a proposito della contesa tra Russia e Ucraina,  incoraggiare l’opera del Consiglio d’Europa nella ricerca di una soluzione politica alla crisi in atto.

Pace attraverso il diritto è la strada del Consiglio d’Europa, e a questa Bergoglio aggiunge il ruolo della cultura. La corte europea dei diritti dell’uomo – afferma – è in qualche modo la coscienza dell’Europa, nel rispetto dei diritti umani. Il pontefice insiste sulla multiculturalità e sulla trasversalità, auspica collaborazione tra le generazioni e una comunicazione trasversale, considerata la volontà del CdE di investire nel dialogo interculturale, compreso quello interreligioso. Nella conferenza stampa in aereo al ritorno da Strasburgo il papa precisa la questione della trasversalità dei politici: i giovani, dice ricordando propri colloqui con leader politici,  “non hanno paura di uscire dalla loro appartenenza, non per negarla, ma per dialogare. E sono coraggiosi. Questo dobbiamo imitarlo, e anche nel dialogo intergenerazionale, questo uscire per trovare persone di altre appartenenze e dialogare, l’Europa ha bisogno di questo, oggi”.

Al Consiglio d’Europa papa Francesco ricorda che la via privilegiata per la pace, per evitare che quando accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si ripeta, è riconoscere nell’altro non un nemico da combattere ma un fratello da accogliere.

Sarajevo, un altro luogo ferito in cerca di nuova armonia.

Il sei giugno del 2015 papa Francesco visita Sarajevo, città emblema delle guerre europee: nel 1914 l’attentato a Sarajevo contro l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando innescò la prima guerra mondiale. Inoltre, tra il 1992 e il 1995, durante la guerra di Bosnia, la città  soffrì più di tre anni di un terribile assedio da parte delle forze serbo-bosniache.

La guerra, che è durata fino all’ottobre del 1995, ha devastato la città e costretto moltissimi a emigrare.  Sarajevo era conosciuta come città multi-etnica e multi-religiosa, dove convivevano  l’islam, il cristianesimo (i croati cattolici e i serbi ortodossi) e l’ebraismo, e grazie a questo clima di tolleranza e rispetto era stata soprannominata  la “Gerusalemme d’Europa”, ma quel clima si è incrinato dopo le guerre jugoslave.

A Sarajevo, città ferita per eccellenza del Novecento europeo, papa Francesco, incontrando i giovani, denuncia: ci sono potenti che parlano apertamente di pace e sottobanco commerciano armi. E sull’aereo del ritorno precisa: “Sì, c’è l’ipocrisia, sempre, e per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace, si deve fare la pace. E chi parla soltanto di pace e non fa la pace è in contraddizione, e chi parla di pace e favorisce la guerra, per esempio con la vendita di armi, è un ipocrita, è così semplice”.

 A Sarajevo,  città ferita alla ricerca di una nuova armonia, papa Francesco  ricorda che ognuno può portare il proprio contributo di fronte agli scenari di crisi. La presenza e le parole del papa a Sarajevo, come ha osservato lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, presuppongono “una verità che a Sarajevo è dolorosamente tangibile: là dove è mancata l’Europa come utopia (anche cattolica) da cui è nata una società pluralista, le fedi sono diventate una leva di pulizia etnica”. E di fronte al rischio di implosione europea, il papa sceglie di rilanciare il senso della pace “come nome cristiano – ancora Melloni – a disposizione di tutti, senza ‘moralismi illusori’”.    

Tornare a sentire le mura della casa comune. Tornare a pensare in modo europeo.

Quando papa Francesco riceve il Premio Carlo Magno, il 6 maggio 2016, nella Sala Regia in Vaticano,  le difficoltà dell’Europa si sono acuite, le istituzioni e i leader europei sembrano a tratti smarriti, e molto sensibili a quanto il papa dice loro. Bergoglio, che non è solito accettare premi o riconoscimenti personali, precisa di offrire “questo premio per l’Europa, non come gesto celebrativo, ma occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato continente”. Il papa ricorda che creatività, ingegno, capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa, e che nel Novecento le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro “che arsero nei cuori dei padri fondatori”. Ma oggi gli europei sembrano sentire “meno proprie le mura della casa comune”. E qui papa Francesco ricorda quanto disse a Strasburgo circa l’Europa  nonna. Oggi, aggiunge, l’Europa è tentata dal dominio degli spazi, va trincerandosi anziché favorire nuovi dinamismi. E invita a fare memoria, e ricorda che i padri fondatori “osarono cercare soluzioni multilaterali a problemi che a poco a poco diventavano comuni”. Con una abile catena di citazioni dai padri fondatori, papa Francesco invita ad aggiornare l’idea di Europa per dare alla luce un nuovo umanesimo, e raccomanda quella capacità di integrare, di partire dalle radici integrando  sempre nuove culture, più diverse e senza apparente legame tra loro. Ultimo pezzo sul nuovo umanesimo europeo, va letto integralmente.

(Capacità di dialogo per ricostituire il tessuto sociale, da una economia liquida a una economia sociale, contributo dei giovani, ma se non hanno lavoro). “Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, ‘un costante cammino di umanizzazione’, cui servono ‘memoria, coraggio, sana e umana utopia’. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.

Il 24 marzo 2017 per i Sessanta anni dei Trattati di Roma, che avviarono il processo di unificazione europea, il papa riceve nella Sistina, – alle sue spalle è “il Giudizio universale” dipinto da Michelangelo – il vertice della Ue convenuto a Roma per la solenne celebrazione dell’anniversario dei Trattati. Francesco pone un legame inscindibile tra memoria e speranza, pensa al passato non come a un insieme di fatti lontani, ma come linfa vitale. Il processo di unificazione europea è nato per esigenze economiche, ma con la coscienza, allora chiara, di un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile (sono parole di De Gasperi). L’Europa ha vissuto 60 anni di pace, il tempo più lungo nella sua storia, e il papa invita a tornare allo spirito di servizio, alla passione politica, ai valori, con il contributo anche dei cristiani, senza contrapposizioni ideologiche. (NOTA 3)

Questa la via da percorrere per superare la sfiducia in una Europa vista solo come insieme di regole da osservare e per vivere le crisi di oggi come sfide e occasioni. Aprendosi, come l’Europa ha sempre fatto nella sua storia, e vivendo la solidarietà come efficace antidoto ai populismi. Tornando cioè a una politica degna di questo nome, per ricominciare a pensare in modo europeo.

Le parole del papa sono forti, perché realistiche e nello stesso tempo aperte al futuro.. Riascoltiamone alcune:

(Discorso): ‘ I padri fondatori ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire, essa è vita…’.

++++”Quanto si faticò per rimuovere il muro dal Baltico all’Adriatico, eppure oggi si è persa la memoria della fatica, si è persa pure la consapevolezza del dramma delle famigli separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò”. +++

 Il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli visto come ‘bene scontato’, considerata ‘superflua’, la Ue nasce da un progetto chiaro, ben definito, adeguatamente ponderato, anche se embrionale.

(I valori cristiani nella società multiculturale, continueranno a trovare piena cittadinanza ‘se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente poto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente’).

Nostro tempo dominato dal concetto di crisi economica, crisi viene da ‘crino’ che significa investigare, vagliare, valutare, giudicare, il nostro è dunque un tempo di discernimento che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso, è dunque un tempo di sfide e di opportunità.

Discernimento, altra parola da ricordare.

(Papa Francesco espone poi le ragioni di speranza dell’Europa:

“L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è il centro, il cuore delle sue istituzioni, (popoli, spirito di famiglia, unità nelle differenze, non uniformità, comunità di persone e popoli)

L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, più efficace antidoto ai moderni populismi

(L’Europa ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze)

L’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro, ai giovani,( lavoro, educazione, famiglia (? rivedere) coscienza e ideali dei propri cittadini; figli e poterli mantenere, sacralità della vita.)

Sessanta anni –conclude il pontefice – è l’età in cui mettersi in discussione, ma l’Europa non ha, come le persone fisiche, davanti a sé l’inevitabile vecchiaia, ha la possibilità di una nuova giovinezza e “ voi in quanto leader dovete discernere la via di un nuovo umanesimo europeo”.

Il 28 ottobre 2017 papa Francesco si rivolge al convegno (RE)THINKING EUROPE,  organizzato dalla Comece, cioè dall’organismo che raggruppa le conferenze dei vescovi europei , che si interrogano su cosa i cristiani possano fare per ridare un’anima all’Europa. Papa Bergoglio afferma che  non è tempo di costruire trincee, di “arroccarsi’ come a Caporetto, mietendo ‘innumerevoli vittime a fronte di risibili conquiste’. Il suo “ministro degli Esteri”, mons. Gallagher ricorda che (RE)Thinking Europe è una iniziativa voluta dal papa in senso propositivo, e il suo segretario di Stato, il card. Pietro Parolin, spiega che il papa l’ha voluta in particolare dopo la Brexit e l’insorgere di spinte disgregative in Europa.

Il papa descrive ai convegnisti il sogno di una Europa luogo di dialogo, ‘agorà’ in cui le persone non siano solo cifre, i migranti non siano solo quote, i lavoratori non siano solo indicatori economici. Una Europa capace di sussidiarietà e ‘solidarietà, quella parola che tante volte sembra si voglia cancellare dal dizionario’ , che superi ‘il nostro inverno demografico’, un continente in cui politici e imprenditori creino politiche per il lavoro e lavoro, in cui i giovani non siano emarginati. Una Europa così ha necessariamente ‘una identità relazionale’ ed è necessariamente ‘inclusiva’.

Papa Francesco esorta a riscoprire il progetto dei padri fondatori, protagonisti del discorso a (Re)Thinking Europe, insieme con san Benedetto, il primo in Europa a considerare ‘la natura comune di ogni essere umano’ e a Diogneto che nella sua celebre lettera che ha animato l’impegno sociale di generazioni di cristiani afferma che ‘come l’anima è nel corpo, così nel mondo sono i cristiani’.

I cristiani, ne è convinto papa Bergoglio, possono contribuire a ridare ‘dignità alla politica’ e praticare la convivenza, a patto che l’Europa rinunci a quel  ‘pensiero unico tanto diffuso nei consessi internazionali’ che vuole togliere alle religioni un ruolo pubblico, mentre anche in Europa cristiani e musulmani convivono e possono dar vita a un progetto di pace. L’Europa stessa è nata come un ‘progetto di pace’, e anche i cristiani possono ‘essere anima dell’Europa’.

Una osservazione che vale per tutti i grandi discorsi europei di papa Francesco: l’analisi è finemente politica, nel senso più alto del termine, ma si avvale anche di “strumenti” della spiritualità ignaziana, come ben si vede quando il papa spiega il concetto di crisi come opportunità, chiede di armarsi del discernimento e insiste sulla necessità di fare memoria del passato per una nuova comprensione delle sfide del presente e per disegnare un futuro umano.

Qualche riflessione.

Dai viaggi europei e dai ai grandi discorsi europei traiamo ora alcuni elementi di sintesi.

Guardare il mondo delle periferie, come osserva il diplomatico italiano Pasquale Ferrara, è un “capovolgimento di prospettiva che genera, in diverse opinioni pubbliche, un effetto al contempo straniante e liberatorio rispetto alla doxa della narrazione geopolitica dominante, che descrive un Occidente sotto assedio e minacciato da forze distruttive, ingenerando paura e diffidenza su scala continentale”. (NOTA 4)

L’Europa che il papa incontra in alcuni luoghi e popoli feriti o nelle sue istituzioni in affanno vive una triplice crisi, che Civiltà cattolica, l’autorevole rivista romana dei gesuiti, ha recentemente descritto come “crisi migratoria senza precedenti, crisi economica profonda e crisi demografica”. E Papa Francesco fa luce sulla insufficienza dell’attuale assetto europeo,  ‘sotto il profilo strategico, politico-istituzionale, persino culturale’.

La lettura del papa degli atteggiamenti nazionali nei confronti delle migrazioni è fortemente critica, ma non antagonista, prospettando interventi strutturali al di là della retorica dell’emergenza. Il papa chiede all’Europa un sussulto di coscienza, ma anche di consapevolezza politica. E l’Europa è chiamata in causa come capacità di articolare una risposta comune, in termini sociali, identitari e culturali. (Ancora Ferrara)

Tra gli estremi delle porte aperte o dei confini militarizzati dei muri invalicabili, indica il pontefice, ci sarà pure spazio per un confronto politico, per un progetto pan europeo sulle migrazioni. Si tratta di riformulare l’Europa come spazio plurale ma non per questo meno solido dal punto di vista identitario. Gli obiettivi, da cui siamo ancora lontani, sono: crescita intelligente, crescita sostenibile, crescita inclusiva.

Una spiegazione di come il papa veda la crisi culturale dell’Europa e del peso del suo appello per un nuovo umanesimo la troviamo in una conversazione del suo amico dai tempi di Buenos Aires, il rabbino A Skorka con il giornalista italiano Riccardo Cristiano. Skorka  che ricorda che l’Europa si sta confrontando con l’essenza della propria cultura, ricorda l’eredità della rivoluzione francese e le radici giudeo cristiane e rimarca la Shoha come prodotto della indifferenza europea. “ Ora l’Europa – conclude  il rabbino – è chiamata con disperazione a dare una risposta a persone che fuggono dall’inferno. La risposta deve essere profonda. Sono fratelli, fratelli nell’umanità”. (NOTA 5).

La riflessione del rabbino Skorka ci riporta al concetto di fraternità. Papa Bergoglio, che lo aveva messo in rilievo già durante il suo viaggio a Tirana del settembre 2014,  ne fa una articolata esposizione nel  messaggio del 24 aprile 2017 alla professoressa Margaret Archer, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali: libertà eguaglianza e fraternità  sono tre ideali cui l’uomo ha anelato, sono stati proposti insieme, anche se non si sono realizzati simultaneamente. “La fraternità  – sottolinea Francesco nel messaggio alla Archer  –  è stato indubbiamente quello meno sviluppato e ha finito per essere cancellata dal lessico politico-economico”. (NOTA 6)

Libertà e uguaglianza, ideali desiderati a lungo e raggiunti dopo molte sofferenze, hanno prodotto in realtà nuove forme di disuguaglianza e di schiavitù, a causa della mancanza della funzione regolatrice della fraternità, a lungo trascurata. Il problema cruciale, – come segnala padre Narvaja su Civiltà cattolica – è che le forme autentiche di fraternità scaturiscono ‘dal basso’da coloro che si sentono fratelli ed esprimono tale relazione in un’uguaglianza e una libertà rispettose delle differenze e dei bisogni dell’altro. (NOTA 7)

La fraternità non può essere teorica, deve essere incarnata e risulta difficile in una società di figli unici e fondata sull’individualismo.

La proposta di costruire una società fraterna, che è la proposta del Vangelo, è quindi, rimarca il papa, “un’alternativa alle proposte neoliberale e neostatalista, entrambe guidate dall’egoismo, dalla avidità, dal materialismo e dalla concorrenza sleale”. In questo modo “si formerà una nuova mentalità politica ed economica che contribuirà a trasformare la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza”.  E queste parole di papa Francesco nel suo primo discorso a nuovi ambasciatori,  nel maggio 2013, assumono oggi il tono della profezia, di fronte alla minaccia all’Europa portata dalla triplice crisi, e da sovranismi e populismi. (NOTA 8).

Ancora padre Narvaja spiega che per il papa, non si tratta di fare cose impossibili: si tratta piuttosto di fare le cose di tutti i giorni con un cuore aperto, affinché questo cuore diventi ponte fra il cielo e la terra. Ci può essere fraternità dall’alto o dal basso, e il basso è lo spazio del popolo, dove si dà il popolo, e soltanto le forme di fraternità che nascono dal basso riescono a formare un popolo. Come educare alla fraternità partendo dai piccoli gesti è una domanda che la chiesa latinoamericana ha esplicitato nel documento di Aparecida, al quale l’allora arcivescovo Bergoglio collaborò in prima persona.  

La fraternità si costruisce concretamente e nel dialogo, nel dialogo le differenze sono una ricchezza e una risorsa, nel dialogo le religioni non antagoniste trovano uno spazio comune e tornano dall’esilio, alla ribalta

Così, semplicemente scorrendo gesti e parole del papa latinoamericano nei primi 5 anni del suo pontificato, siamo giunti a uno dei nodi dell’attualità europea: la realizzazione della fraternità, il rilancio di una democrazia reale, la necessità ineludibile di  un nuovo umanesimo europeo.

Dalla attualità possiamo trarre un ulteriore elemento di riflessione considerando il per certi aspetti sorprendente discorso del presidente francese Emmanuel Macron alla Chiesa cattolica tenuto nel College des Bernardins a Parigi, lo scorso maggio .Nella laicissima Francia, il capo dello Stato ha chiesto pubblicamente ai cattolici – non solo come singoli, ma anche come Chiesa – tre «doni» che la «Repubblica attende»: la saggezza, l’impegno e la libertà. e ha proposto una “nuova alleanza tra politica e religione per permetterci di affrontare il futuro che ci attende senza soccombere”.

C’è ovviamente una contingenza politica dietro questo discorso: Il presidente francese sa che la base elettorale del Front National è in buona parte fatta da cattolici che vedono nel laicismo delle élites il principale nemico, e sa di essere assimilato alle elites. Ma

con questo discorso, Macron ridisegna i rapporti tra Stato e Chiesa e, obiettivi politici contingenti a parte, coglie pienamente le opportunità che l’impulso di papa Francesco al dialogo offre anche alla politica europea, alla costruzione europea. (NOTA 9)

Dalla attualità, come europea e italiana, traggo un’altra osservazione: non è solo mio il timore che i problemi del mio paese nel fronteggiare il suo alto debito pubblico e l’emergenza migratoria che lo espone quotidianamente lo portino ad allontanarsi dalla Europa e cadere in braccio alla ventata nazionalista e xenofoba che mina la costruzione europea.

Queste due piccole osservazioni dalla attualità per ricordare a noi stessi, in sintonia con il papa latinoamericano, che è necessario rimboccarsi le maniche per un disegno di fraternità, anche come cristiani e come cristiani europei. Lo stile pragmatico e la leadership per la pace di papa Francesco modulata con quella di altri leader religiosi, fanno riemergere le religioni dall’esilio, in progetti condivisi di fraternità, lotta alla povertà, difesa della pace. Anche i cristiani dunque, come sempre accanto e insieme agli altri, possono essere protagonisti di un nuovo umanesimo, per costruire un futuro di fratellanza e evitare l’implosione europea.

Con l’attenzione a tutto questo , dunque, guardiamo all’imminente arrivo di papa Bergoglio nei Baltici, che, riconquistata la libertà, hanno aderito alle istituzioni europee con entusiasmo e vissuto gli anni successivi in spirito di collaborazione e fraternità. Lo stesso spirito con cui cercano di vivere i problemi di immigrati ed emigrati, in società multiculturali e aperte. Papa Francesco saprà certo parlare a tutti loro e a tutti gli europei, in questo viaggio tanto importante nella storia e nella attualità dei nostri popoli. E’ un dono poter seguire papa Francesco in Lituania, un bel dono da condividere con voi. E di questo vi ringrazio. Grazie, grazie davvero.

NOTE

  1. Conversazione con Alberto Melloni, primavera 2013
  2. Chirri , pag. 222-223 ne “il Nuovo mondo di Francesco”, di Antonio Spadaro, Marsilio editore.
  3. Cfr anche Vian, Osservatore romano 25 marzo 2017
  4. Pasquale Ferrara, “Il mondo di Francesco”, Edizioni San Paolo, pag. 77s
  5. Riccardo Cristiano, “Bergoglio, sfida globale”, Castelvecchi, pag. 78 “L’Europa – osserva il rabbino – si sta confrontando con l’essenza della sua cultura. E’ una cultura umanista? Ha significato davvero qualcosa la rivoluzione francese, oppure libertà, uguaglianza, fraternità sono state mere esclamazioni? In Europa si sono generati valori, si è sviluppata la cultura. Qui si è sviluppata la cultura cristiana. L’Europa può essere più o meno laica, ma – rimarca Skorka – deve accettare di aver dato i natali al giudeo-cristiano, o al cristiano come espressione dell’ebraismo. Gesù era un ebreo, un rabbino, un maestro. Qui, in Europa, si è unito questo sentimento religioso con la cultura greco-romana. Un incontro molto importante: basti accennare all’arte, alla scienza e a tante manifestazioni così speciali dello spirito umano. Ma in Europa si sono verificati anche drammi che nulla hanno a che vedere con i grandi valori dello spirito umano. La Shoah…La Shoah come prodotto di certa parte della società europea: l’indifferenza di gran parte della società europea. Ora l’Europa è chiamata con disperazione a dare una risposta a persone che fuggono dall’inferno. La risposta deve essere profonda. Sono fratelli, fratelli nell’umanità”.  DOPO QUALCHE RIGA: “ L’Europa è di nuovo esaminata, (o come preferisco dire ‘testata’, ricorrendo a questo vocabolo di origine inglese): libertà, uguaglianza, fratellanza, significano ancora qualcosa o sono mere parole?. A lungo termine, il problema è capire in che misura l’Europa e il mondo potranno porre termine alla follia a cui assistiamo oggi in Medio Oriente. Non si può lasciare che parte dell’umanità soffra come le comunità cristiane e numerose comunità islamiche soffrono in questo momento. Non possiamo aspettate che un bambino emerga dal mare, morto, per renderci conto di qual è il dramma dell’altro”.
  6. Tutti i discorsi di papa Francesco sono reperibili sul sito www.vatican.va, in ordine di data.
  7. Civiltà cattolica 4030 19mag/2giu 2018, pag 394s
  8. Papa Francesco, discorso ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, 16 maggio 2013.
  9. “Il mondo che abbiamo costruito- dice Macron – è esposto a rischi enormi – ambientali, sociali, economici, politici, umani. Nessun potere da solo può pensare di farcela: i piani toccati sono molteplici, la posta in gioco altissima. Solo una nuova alleanza fra politica e religione può permetterci di affrontare il futuro che ci attende senza soccombere. Una alleanza che non è confusione di ruoli né tanto meno invasione di campo. Ma al contrario, il riconoscimento di una complementarietà fatta di reciproco rispetto”. Il testo del discorso del presidente Macron è pubblicato sul sito dell’Eliseo.
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© 2019 Giovanna Chirri

© 2020 Giovanna Chirri